Il costo degli alloggi è un problema, ma lo sprawl urbano non è la soluzione

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In tutti i paesi ad alto tasso di motorizzazione è comune imbattersi nel fenomeno dello ‘sprawl’, che in italiano può essere tradotto con il termine di dispersione urbana, che consiste nell’indefinito allargarsi delle aree urbane verso zone che consentono di edificare a costi più bassi che nel centro città, ma dove è inevitabilmente più difficile avere a disposizione valide alternative all’automobile. Gli USA sono l’emblema di questo fenomeno, che nel nostro paese presenta caratteristiche diverse, meno estreme ma non per questo meno preoccupanti, complice un tasso di motorizzazione tra i più alti al mondo e un’orografia che è spesso di ostacolo alla “fluidificazione del traffico”.

In questa lunga e articolata analisi riferita alla realtà nordamericana Todd Litman confuta le tesi di chi sostiene che per consentire a tutti di poter vivere in un appartamento decoroso la soluzione principale sia quella di costruire “sempre più in là”, dove i prezzi degli immobili sono ancora alla portata di tutte le tasche; un approccio non solo nordamericano…

Molte famiglie spendono più di quanto possano permettersi per alloggio e trasporti, ma l’ultima indagine sull’accessibilità degli alloggi (International Housing Affordability Survey, IAHS) ha torto a raccomandare lo sprawl urbano come la migliore soluzione. Le vere soluzioni devono puntare a ridurre sia i costi per gli alloggi sia quelli per i trasporti.

Molte famiglie lavoratrici spendono più di quanto possano permettersi per l’abitazione ed i trasporti, rimanendo con un budget insufficiente da dedicare ad altri consumi essenziali come l’alimentazione e le spese sanitarie. Questa è una tragedia. È in parte il risultato di politiche pubbliche che prediligono soluzioni abitative e di trasporto costose ad alternative più convenienti .

Esistono tanti modi per ridurre i costi di un’abitazione ma alcuni sono complessivamente meglio di altri. Una casa economica non è realmente conveniente se si trova in una periferia dipendente dall’automobile con costi di trasporto molto alti, e le famiglie potrebbero anche spendere più di quanto generalmente considerato conveniente per una casa situata in un quartiere urbano se questo consente loro di rinunciare a un’auto. La vera convenienza abitativa richiede quindi politiche che aumentino il numero di alloggi accessibili e facilmente raggiungibili. In molte città c’è mancanza di questo tipo di abitazioni, e le famiglie con redditi medio-bassi sono costrette a spendere più di quanto possano permettersi.

L’ultima  International Housing Affordability Survey [pdf], pubblicata in gennaio, rileva come i costi delle abitazioni siano eccessivi in molte città. Concordo con gli autori Wendell Cox e Hugh Pavletich sul fatto che questo è un problema serio. Tuttavia la loro analisi risulta distorta ed incompleta e le soluzioni da loro proposte, che consistono principalmente in un grado maggiore di dispersione urbana, non farebbero altro che danneggiare ulteriormente molte famiglie a basso reddito come già ho evidenziato in molti post [1][2][3][4]. Esistono soluzioni molto migliori.

Il concetto di accessibilità si riferisce alla possibilità delle famiglie di acquistare beni essenziali come alimenti, vestiario, abitazione, trasporti e cure sanitarie. Nel passato la soglia di accessibilità veniva definita da una quota inferiore al 30% del budget famigliare destinata all’abitazione, comprendendo affitti o mutui, tasse di proprietà e spese assicurative, servizi di base e manutenzione; ma visto che le famiglie spesso barattano i costi per la casa con quelli per i trasporti, molti esperti oggi ritengono meglio valutare l’accessibilità delle famiglie con redditi più bassi basandosi su una spesa complessiva per trasporti e casa inferiore al 45% del budget  disponibile.

I grafici seguenti illustrano il problema. Il primo mostra le porzioni di bilancio famigliare dedicate ai diversi consumi in Nord America. Con l’eccezione del quintile più alto, tutte le categorie di reddito spendono più del 45% (indicato dalla linea arancione) per l’abitazione ed i trasporti.

Portion of Household Spending By Income Quintile [pdf]

Portion of Household Spending By Income Quintile

Molte famiglie spendono più di quanto considerato accettabile (linea tratteggiata) in alloggi e trasporti. Questi costi sono regressivi: la loro quota sul budget famigliare è inversamente proporzionale al crescere del reddito. (Based on U.S. Consumer Expenditure Survey data)

Naturalmente questi costi variano in base alle circostanze. Dato che circa un terzo delle famiglie a basso reddito è proprietaria dell’abitazione e circa un quarto non possiede auto, queste statistiche sottostimano i costi gravanti su coloro che pagano un affitto e possiedono un’automobile. Il secondo grafico illustra le spese sostenute dalle famiglie con redditi più bassi (primo e secondo quintile), partendo dal presupposto che – rispetto alla media – le famiglie proprietarie di abitazione spendano il 70% in meno per l’alloggio e che le famiglie senz’auto spendano il 70% in meno per i trasporti. Ne risulta che le famiglie più povere che pagano un affitto o un mutuo e possiedono un automobile dedicano circa il 60% del loro budget ad abitazione e trasporti, circa il 30% in più di quanto considerato accessibile.

Lower-Income Households’ Spending By Home and Car Ownership [pdf]

Lower-Income Households’ Spending By Home and Car Ownership

Prendendo in considerazione i due quintili di reddito più basso, l’abitazione ed i trasporti sono accessibili solo per coloro che possiedono una casa o non possiedono un’automobile, mentre assorbono quasi il 60% delle entrate delle famiglie che pagano un mutuo od un affitto o che possiedono un auto, le quali restano con una disponibilità insufficiente per accedere ad altri beni essenziali come alimentazione e cure mediche. (Based on U.S. Consumer Expenditure Survey data)

La IHAS cita il seguente grafico pubblicato dal  Wall Street Journal  come prova che l’inaccessibilità degli alloggi è causata dai limiti che vengono posti all’espansione urbana, ma ciò getta confusione sull’argomento. Tutte le città che cataloga come troppo care sono città costiere attrattive ed economicamente vitali la cui crescita è limitata da ragioni geografiche prima ancora che giuridiche. Non ha nessun senso suggerire che città con evidenti limiti geografici come  Los Angeles, New York, San Jose e Seattle possano diventare accessibili espandendosi come città dell’interno quali Atlanta, Austin, Las Vegas e Raleigh. Le città limitate dalla geografia devono crescere in altezza, non in larghezza.

La classifica redatta da IHAS mostra la stessa miopia. Prende in considerazione le città valutate più accessibili e quelle meno accessibili:

Most Affordable

Least Affordable

Racine, WI

Bay City, MI

Decatur, IL and Elmira, NY

East Stroudsburg, PA

Karratha (Australia)

Lima, OH

Moncton, NB (Canada)

Peoria, IL

Rockford, IL

Scranton-Wilkes Barre, PA

Springfield, OH

Terre Haute, IN

Youngstown, OH-PA

Hong Kong (China)

Sydney, NSW (Australia)

Vancouver, BC (Canada)

Santa Cruz, CA (USA)

Santa Barbara, CA (USA)

Auckland (New Zealand)

Wingcaribbee, NSW (Australia)

Tweed Heads, NSW (Australia)

San Jose, CA (USA)

Melbourne, VIC (Australia)

Le più accessibili sono tutte città piccole e a bassa crescita demografica dell’interno. Sicuramente sono bei posti nei quali vivere, ma sono dei modelli inappropriati se si prendono come riferimento per aumentare l’accessibilità di grandi metropoli costiere come Hong Kong, Sydney o Vancouver. La chiave all’accessibilità in queste metropoli sta nel consentire maggiori possibilità a una edilizia accessibile di riempimento, riducendo le restrizioni per la costruzione di tipologie di abitazioni compatte (villette a schiera e condomini) ed eliminando i requisiti minimi di parcheggio.

La IHAS ignora i costi dei trasporti che nelle città molto disperse aumentano tantissimo. Tali costi sono illustrati da una recente analisi riassunta nella tavola qui sotto. Vengono messe a confronto le 25 più grandi città compatte degli USA con le 25 più grandi città disperse. Le prime spendono un accessibile 40.4% del loro budget in abitazione e trasporti, contro un inaccessibile 49.9% delle seconde. Questa differenza può essere spiegata dal punteggio di pedonabilità molto più basso e dal pendolarismo automobilistico più alto caratteristici delle città disperse che obbligano più adulti al possesso di un’auto privata. Gli abitanti delle città compatte godono di alternative di trasporto vantaggiose che consentono risparmi di migliaia di dollari all’anno. Naturalmente non tutte le famiglie sfruttano tale opportunità. Molti spendono in automobili più di quanto necessario, in nome dello status o della facilità di utilizzo, ma la possibilità di ridurre il tasso di motorizzazione e i suoi costi in caso di bisogno (per esempio, se si riduce il reddito o si presenta una nuova necessità da affrontare), può aumentare significativamente l’accessibilità.

Compact Versus Sprawled City Performance (Robert Steuteville)

 

Traditional Compact Cities

Newer Sprawled Cities
Predominant location Northeast and Great Lakes Sunbelt
Average area 85 square miles 300 square miles
Average population density 10,480/sq. mile (16/acre) 2,750/sq. mile (4/acre)
Street network Urban grid, good connectivity Suburban, poor connectivity
Average Walkscore 78 40
Automobile commute share 55% 94%
Single-family detached housing 22% 56%
Median household income $54,877 $54,467
Portion of median income devoted to housing and transport 40.4% 49.9%
2000 to 2010 growth rates 3.8% 8.2%

L’IHAS sostiene, senza dati a supporto, che gli alti prezzi delle abitazioni sono causati dai limiti imposti all’espansione urbana, ma i ricercatori che hanno analizzato questa ipotesi concludono diversamente.

Un dettagliato studio di Michael Lewyn e Kristoffer Jackson, “How Often Do Cities Mandate Smart Growth or Green Building?” ha fatto notare che, in effetti, poche amministrazioni USA adottano stringenti limiti all’espansione urbana ma praticamente tutte impediscono l’edilizia di “riempimento” richiedendo superfici edificabili molto estese rispetto ai volumi, vietando la costruzioni di conodmini nelle aree residenziali e fissando requisiti minimi di parcheggio molto generosi che riducono densità abitativa e accessibilità delle abitazioni. La maggior parte degli altri paesi hanno meno restrizioni sull’edificazione degli spazi residui, una maggiore accessibilità e un più alto tasso di case in proprietà, come sostiene Sonia Hirt in Zoned in the USA.

L’IHAS sostiene che le periferie urbane disperse sono più vivibili grazie alla migliorata accessibilità e la ridotta congestione stradale. Questo non è completamente vero. I costi abitativi più bassi delle abitazioni monofamigliari in questi luoghi sono spesso compensati da costi per i trasporti più alti, il che si traduce spesso in una accessibilità complessivamente più bassa e benchè città più compatte tendano in genere a presentare fenomeni di congestione stradale più intensa, ma questo è più che compensato dalle minori distanze percorse e da share modali automobilistici più bassi, i residenti devono sostenere costi più bassi per la congestione (quantificati in ore di ritardo annuali). Ricerche empiriche indicano che uno sviluppo urbano compatto tende a ridurre i costi della congestione. Per esempio, un importante studio sulla zona di Phoenix, Arizona ha rilevato come gli abitanti dei quartieri storici caratterizzati da uno sviluppo più compatto e misto, rete stradale più fitta, migliori condizioni pedonali e migliori servizi di trasporto pubblico sperimentino costi di congestione minori e spendano complessivamente meno tempo negli spostamenti degli abitanti dei sobborghi più nuovi, a bassa densità abitativa e dipendenti dall’auto. Mediamente gli abitanti del centro urbano percorrono 7 miglia per andare al lavoro e 3 miglia per andare a fare la spesa, contro le quasi 11 e le 4, rispettivamente, dei residenti nelle aree suburbane.

L’IHAS ignora gli altri costi della dispersione urbana tra i quali vanno ricordati i costi più alti per le infrastrutture, un maggior tasso di incidentalità stradale, maggior tasso di obesità con patologie associate, ridotta mobilità per i non automobilisti e conseguente aumento dei costi di accompagnamento. L’IHAS sostiene che la dispersione urbana migliora le opportunità economiche e il benessere; niente di più sbagliato. La dispersione riduce l’accessibilità (in senso geografico) complessiva, il che riduce le possibilità di impiego in modo particolare per le persone più svantaggiate. Un recente studio riportato in “Does Urban Sprawl Hold Down Upward Mobility?“ha rilevato come la mobilità sociale è significativamente più alta nelle aree compatte che in quelle disperse. L’analisi indica nella migliore accessibilità al lavoro e nella minore segregazione per reddito delle aree compatte la causa di questo fenomeno.

La IHAS cita anche uno studio di Chang-Tai Hsieh ed Enrico Moretti, “Why Do Cities Matter? Local Growth and Aggregate Growth,”come prova che le costrizioni imposte dai regolamenti di città vitali come San Francisco e New York riducono la crescita della produttività e la creazione di posti di lavoro; questo punto di vista implica la critica della regolamentazione volta a contenere lo sviluppo urbano ma lo studio citato pone piuttosto l’enfasi sull’efficienza degli agglomerati urbani e per questo critica le limitazioni all’edilizia di riempimento. Infatti viene specificato che il tipo di crescita demografica che auspica l’IHAS, basato su bassi costi degli alloggi piuttosto che sulla crescita di produttività, può essere economicamente dannoso. Essi spiegano: “Essenzialmente, Phoenix, Las Vegas e Riverside hanno attratto nuovi residenti a causa del bel tempo e di abbondante offerta di abitazioni economiche ma questa riallocazione è stata causa di una perdita aggregata di produttività perchè ha portato più gente a lavorare in città dove il prodotto marginale del lavoro è basso”.

Invece sostengono la necessità di togliere tutti i limiti allo sviluppo urbano di riempimento nelle regioni economicamente vitali. Citando San Jose, California, Hsieh e Moretti spiegano che “In una regione con prezzi immobiliari tra i più alti del mondo sono ancora comuni, a causa di restrizioni sull’utilizzo del territorio, parcheggi di superficie, edifici a un piano e altre aree sottoutilizzate.” Raccomandano quindi politiche nazionali volte a ridurre tali restrizioni, oltre a grossi investimenti in ferrovie urbane per migliorare l’accessibilità ai posti di lavoro nelle aree urbane più dinamiche, esattamente l’opposto di quanto suggerito da Cox e Pavletich.

Uno sviluppo urbano più compatto può anche aiutare le famglie a generare richezza sul lungo periodo [pdf] permettendo loro di riallocare la spesa per automobili – che si deprezzano rapidamente – sull’abitazione, che tende a rivalutarsi. Andare ad abitare in un quartiere urbano camminabile piuttosto che in una periferia auto-dipendente può permettere ad una famiglia un risparmio annuale fino a 6000 dollari in spese di trasporto,  che può andare a finanziare ulteriori investimenti per circa 100mila dollari nell’abitazione. Nel giro di un decennio una famiglia può ritrovarsi con un capitale immobiliare aggiuntivo di 65mila dollari scegliendo un’abitazione in un’area urbana che permette di risparmiare sulle spese di trasporto invece di una casa posta in periferia che richiede un maggiore impegno finanziario per gli spostamenti.

Tutto ciò non è per suggerire che le città non dorebbero espandersi, ma che per essere efficienti nell’allocazione delle risorse e per massimizzare l’accessibilità complessiva l’espansione dovrebbe essere compatta e multimodale, prevedendo buone possibilità di spostamenti a piedi, in bici e con il trasporto pubblico al fine di garantire l’accessibilità dei trasporti. Nonostante l’accento posto su soluzioni orientate alla dispersione urbana, la IHAS riconosce effettivamente che anche altre strade possono portare a ridurre i costi dell’abitazione. Nell’introduzione Oliver Hartwich descrive la Germania e la Svizzera come i migliori esempi di nazioni ricche che minimizzano l’inflazione nel settore immobiliare. Spiega che “In Germania e Svizzera, il budget delle amministrazioni locali dipende in gran parte dalla capacità di attirare nuovi residenti e contribuenti. Questo spiega perchè entrambi i paesi hanno tradizionalmente avuto un’offerta di abitazioni più flessibile e responsiva”.

Quello che non dice è che entrambi i paesi prevedono regolamenti urbanistici molto severi e politiche che incoraggiano l’edilizia compatta, con solo il 45% delle famiglie che abitano case monofamigliari. Se il contenimento urbano fosse realmente la minaccia che paventano Cos e Pavletich Germania e Svizzera dovrebbero essere tra i paesi meno accessibili dal punto di vista abitativo.

Similmente la IHAS cita il successo ottenuto da Singapore nel migliorare l’accessibilità delle abitazioni, risultante da programmi governativi per finanziare la costruzione di condomini multipiano e da limitazioni poste all’acquisto di immobili da parte di investitori esteri. Questo dimostra che città limitate dalla geografia devono crescere in altezza, non in larghezza, e hanno bisogno dell’intervento pubblico per mantenere l’accessibilità.

Post originale:  Unaffordability is a problem, but sprawl is a terrible solution


Todd Litman's pictureTodd Litman è fondatore e direttore esecutivo del Victoria Transport Policy Institute, una organizzazione indipendente di ricerca dedicata allo sviluppo di soluzioni innovative nel campo dei trasporti. Il suo lavoro aiuta ad allargare le possibilità di scelte a disposizione nei processi di decision making nel settore della mobilità, a migliorare le tecniche di valutazione e a divulgare concetti specialistici presso il grande pubblico. Lo trovate a 1250 Rudlin Street, Victoria, BC, V8V 3R7, Canada. Email: litman@vtpi.org. Phone & Fax: +1 250-360-1560

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